images-4Definire la tristezza è una di quelle cose allo stesso tempo molto immediate e molto complicate. Tutti noi sappiamo cosa intendiamo quando parliamo di tristezza, ma probabilmente se dovessimo descriverla a un extraterrestre che non la conosce saremmo in difficoltà. La tristezza di per sé può prendere diverse declinazioni e può mostrarsi con segnali particolari. Poi, che ce ne facciamo di questa tristezza? A che ci serve essere tristi? Approfondiamolo.

 

Riconoscere la tristezza

La tristezza, come tutte le emozioni, è connotata da cambiamenti biologici e espressivi che possiamo considerare come i “segnali fisici” della tristezza stessa. Tra questi, per esempio, il fatto di sentirsi stanchi, senza energie, svogliati e abbattuti; in più, quando siamo tristi abbiamo la sensazione che niente ci possa dare piacere e possiamo percepire una sensazione di complessiva mancanza o di vuoto. Ci sentiamo senza respiro, ci si chiude lo stomaco e possiamo sentirci come se non riuscissimo a smettere di piangere.

Oltre ai connotati fisiologici, la tristezza si può riconoscere da alcuni pensieri “tipici”, interpretazioni degli eventi unidirezionali. Tra questi, vedere la propria vita come inutile o senza speranza, pensare a se stessi come a persone prive di valore. Tra le convinzioni tipiche, quando siamo tristi possiamo credere che la separazione da qualcuno durerà per sempre oppure credere che non otterremo mai quello che ci serve per stare meglio.

Le situazioni tipiche in cui viene stimolata la tristezza, invece, sono situazioni che hanno in qualche modo a che fare con la mancanza o con una perdita più o meno metaforica. Andiamo quindi dalla perdita di un obiettivo o di un ruolo (pensiamo per esempio alla tristezza che accompagna i cambiamenti lavorativi o famigliari) fino alla perdita estrema, il lutto, a cui si aggiunge l’ineluttabilità e l’impossibilità di ripristinare la situazione precedente. Essere rifiutati o esclusi è un esempio di perdita dell’obiettivo di vicinanza o di inclusione, mentre la malattia porta con sé la perdita della sicurezza fisica e della percezione di sé come al sicuro.

 

tristezzaLe tristezze

La tristezza è un’emozione fatta di sfumature, una marco-categoria che comprende diverse varianti. C’è una componente di tristezza nella nostalgia, che letteralmente significa “dolore del ritorno”: sentiamo nostalgia quando vorremmo tornare in un posto o in un tempo m
a non possiamo tornarci. È triste la malinconia, l’antica melancolia greca, che unisce l’immobilità della tristezza al senso di impotenza. Oltre a queste varianti poetiche, la tristezza è ovviamente presente nella depressione,
una forma di tristezza pervasiva e persistente che arriva a limitare la persona nel suo funzionamento, così come nella disperazione, che unisce all’umore triste il pathos. È triste anche il dispiacere, che però si configura come più
provvisorio e contestuale a qualcosa di specifico, quindi più facilmente gestibile.

Cosa ci dice la tristezza

Tutte le emozioni ci dicono qualcosa, come se fossero le spie della macchina: si accendono quando è necessario prestare attenzione. Allora, se tutte le emozioni sono come i segnali, cosa ci segnala la tristezza? Come dicevamo, la tristezza ci segnala una perdita, una mancanza, che sia questa reale o metaforica. Siamo tristi quando qualcosa che amiamo o qualcosa di cui abbiamo necessità non è vicino a noi. Fare esperienza della tristezza allora ci serve per renderci conto di questa mancanza e per poter tentare modalità di riavvicinamento, quando queste sono possibili. La tristezza ci dice “attenzione, questa cosa per te importante è lontana”: sta a noi decidere se e come muoverci di conseguenza.

Come rispondiamo alla tristezza

Cosa possiamo fare una volta recepito il messaggio della tristezza? Le reazioni possibili sono molte, alcune utili e altre meno. Spesso la tristezza porta con sé una sorta di rallentamento, la voglia di ritirarsi e leccarsi le ferite, che si può concretizzare con l’inattività (restare a letto tutto il giorno), un rallentamento nei movimenti, il ritiro dai contatti sociali (non uscire con gli amici o addirittura non andare al lavoro), stare in silenzio, non chiedere aiuto, piangere. Complessivamente, il comportamento più problematico della tristezza si può riconoscere nell’evitamento, soprattutto se questo va a interessare zone “vitali” della propria esistenza. Una persona può, tra l’altro, evitare di chiedere aiuto, di esprimere la propria difficoltà, di provare strade diverse; come conseguenza, non ha modo di sperimentare altri stati emotivi e rischia di impantanarsi in una nuvola di tristezza che si allarga e la fa sentire sempre più senza speranza. Tuttavia, mentre il nostro triste corpo si ferma, la nostra triste mente galoppa, spesso portandoci verso mete catastrofiche e buie. Così, la tristezza può portare con sé una forma di pensiero ciclico e ripetitivo che prende il nome di ruminazione e che tende a mantenere concentrata la nostra mente sulle cose che non vanno, sulle cause di questa tristezza e sulle sue conseguenze. Guardiamo la realtà con gli occhiali scuri e non ci rendiamo conto di averli indosso.

Quando la tristezza va in terapia

È importante innanzi tutto chiarire che la tristezza di per sé non è un’emozione problematica, né necessita di un trattamento psicologico o psichiatrico. Anzi, come scrive Saint-Exupéry nel Corriere del Sud, “Quando ci si abbandona, sia pure alla tristezza, non si soffre più”. Paradossalmente, infatti, la tristezza può diventare problematica e prendere la gravità e le sembianze della depressione quando lottiamo contro di essa e quando non riusciamo a tollerare la perdita che la tristezza ci segnala. Se una quota di dolore e sia pure di ruminazione può essere contestuale a un momento di lutto o di perdita, questi diventano problematici nella misura in cui impattano sulla vita della persona, arrivando a impedire lo svolgimento di una vita soddisfacente. Le persone depresse si ritirano a volte in modo massiccio, rinunciano alla possibilità di stare meglio, e contemporaneamente analizzano i fatti accaduti e le circostanze in modo ciclico e senza possibilità di uscita, spesso aggiungendo così alla tristezza, ormai divenuta depressione, una buona dose di colpa. È importante che nel momento in cui ci troviamo bloccati dalla depressione su uno o più fronti della nostra vita riusciamo a identificare il nostro problema come tale e di conseguenza a richiedere un aiuto appropriato.